Il chiaro “mistero” dell’Ici

Girano continuamente tra i social network di questi giorni immagini e notizie sul “rapporto” Ici-Chiesa. Dagli articoli di disinformati notiziari nazionali, con tanto di commenti non moderati di democratici “fascisti” – e sì perché la libertà di pensiero non sembra più essere una prerogativa di alcune ideologie laiche – alle classiche e banali “catene di sant’Antonio” fornite di immagini di edifici di culto con didascalie tipo “se non vuoi pagare l’Ici, vendi una casa e compera una chiesa”. Non sono mancate risposte “ordinate” e “semplici” da testate più attente al mondo cattolico – addirittura con copie di ricevute di pagamento di edifici “condannati” dai corsivi di periodici “straletti” – così come si è scaduti in una guerra a suon di stupidaggini rispondendo alle immagini soprascritte con altre ugualmente provocatorie e ignoranti come “se non riuscite a pagare l’Ici vendetevi la casa e compratevi una sede sindacale”.
Insomma informazione e disinformazione viaggiano, anche in questo caso, in parallelo a futili guerre ideologiche che alterano i toni della banalità e non aiutano i lettori – spesso superficiali e passivi – a comprendere i processi di una società in crisi non tanto economica, quanto d’identità.
E così che mi è sembrato giusto non fare una “lotta apologetica”, ma chiarezza: «L’esenzione dall’Ici è riconosciuta solo per gli immobili non commerciali. Per gli altri la Chiesa o gli enti religiosi proprietari sono assoggettati, come tutti, a tassazione». Lo ha spiegato, all’agenzia Sir, il rettore della Lumsa Giuseppe Dalla Torre. «L’esenzione – beneficio fiscale di cui gode non solo la Chiesa, ma anche la pluralità di organizzazioni ed enti ‘laici’, pubblici o privati, non commerciali e riconducibili al no profit – ha la sua ragione di essere – ha aggiunto il giurista – nel servizio sociale che la Chiesa garantisce attraverso le sue diverse realtà e che si traduce in mense per indigenti, scuole materne, case famiglia e di riposo, strutture di accoglienza per studenti e lavoratori fuori sede. Tutti servizi di alta rilevanza sociale che lo Stato non è in grado di gestire e, se lo facesse, li sosterrebbe a costi certamente più elevati di questi enti nei quali è attiva anche una forte presenza di volontariato, o addirittura in alcuni casi si svolge tutto su base volontaria».
Non vogliamo escludere, sul nostro notiziario, la possibilità di “furbizie clericali” in tal senso. Certamente è possibile trovare situazioni di edifici “ecclesiastici” poco chiare in “destinazione d’uso”, ma non è norma, tantomeno prassi, addirittura ribadisce Dalla Torre «rappresenta in sostanza un’agevolazione volta ad assicurare alle fasce più deboli della società una serie di servizi altrimenti inesistenti o più costosi. Si tratta di un sistema vantaggioso sia per la cittadinanza sia per lo Stato».
Insomma, per far ancora più chiarezza: la Chiesa paga l’Ici per tutte gli edifici ad uso commerciale e se così non facesse, commetterebbe un reato. Alle autorità il controllo.
È esente per le attività con finalità sociale e di culto e in fondo in fondo, direbbe un mio carissimo amico di estrazione comunista, «sono un buon investimento per lo Stato, non sempre capace di rispondere ai bisogni di chi chiede aiuto».