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Separazione, ferita dell’anima

La testimonianza di una donna divorziata: il dolore, il cammino, la ripresa

Raccontare l’esperienza di una separazione, della mia separazione, è, senza dubbio, rinnovare un dolore che, ormai a distanza di diciassette anni, pur essendosi attenuato, é sempre presente dentro di me: é una ferita che apparentemente si é rimarginata, ma come le ferite fisiche, ha lasciato una profonda cicatrice, nell’anima, che non può cancellarsi. È la ferita che caratterizza, in misura maggiore o minore, tutte le persone che purtroppo hanno vissuto, o stanno da poco vivendo, il dramma della separazione coniugale.

È la ferita di chi “subisce” la separazione voluta dal partner, un taglio intenso e devastante, nonché quasi inaccettabile ed incomprensibile; oppure, come nel mio caso, è la ferita tenue di due coniugi che nel corso del tempo, per motivi sopraggiunti, o insanabile incompatibilità, decidono, di comune accordo, che il cammino di vita insieme non è più possibile: due cicatrici causate da situazioni diverse, ma unite dal sentimento che le accomuna e da cui non ci si può sottrarre: il senso del fallimento per un progetto di vita familiare non riuscito.

Sono certa che per tutti, anche per i non credenti, anche per coloro che non comprendono il valore del sacramento, la scelta di costruire una famiglia con la persona amata sia la scelta più importante della propria vita, perché la si fa pensando che duri tutta la vita. Sono certa che nessuno pronunciando il proprio “Sì” pensi ad un amore a tempo determinato.

Quando questo progetto fallisce crollano tutte le aspettative; davanti sembra esserci il vuoto, la solitudine e il grande senso di colpa nei confronti dei figli – perché si è consapevoli del dolore che inevitabilmente procuriamo loro – e, non ultimo, ci si sente relegati ai margini della Chiesa – se non addirittura fuori – poiché colpevoli di aver tradito l’impegno assunto davanti a Dio il giorno del matrimonio. Diverse le reazioni: dalla depressione, dalla chiusura in se stessi, dal rancore nei confronti dell’ex coniuge, all’ idea di poter usufruire di una ritrovata libertà, accettando di vivere in maniera superficiale e instaurando rapporti senza vincoli ed impegni, per ritrovarsi, però, dopo un po’, come è successo anche a me, nel vuoto assoluto.
Come, allora, proseguire il cammino di questa vita che, nostro malgrado, è “diversa” da quella di prima?
Io ci provo, con l’aiuto di una Chiesa che comprende il mio dolore, aiutandomi a ricostruire sopra le macerie del matrimonio fallito, a ricostruire me stessa, a mettermi in discussione abbandonando il senso del rancore per far posto al perdono – verso me stessa e verso il mio coniuge -, impegnandomi in un cammino costruttivo per vivere bene anche la condizione di separata e per poter continuare ad essere vicina e punto di riferimento esemplare per i  figli che tanto soffrono e ci osservano.

Maria Antonietta Pepe
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