Essere o fare? Il dilemma al femminile
Nonostante l’inchiesta Ruby-gate sia stata abbondantemente sviscerata, c’è un aspetto che, in questi giorni, ha incuriosito me come, credo, chiunque abbia una buona dimestichezza con i social network. Mi riferisco a quel pullurare, con la velocità che solo la rete ha, di tutta una serie di eventi nei quali s’invitavano le donne a scendere nella “piazza mediatica” in difesa della propria dignità, in nome dei diritti duramente conquistati e in ricordo dei numerosi traguardi raggiunti. Un vero e proprio patrimonio genetico, questo, che alcuni sentirebbero non solo offeso, ma anche pericolosamente minacciato dalla vicenda Ruby e da tutto ciò che è ad essa legato. Dal virtuale al reale, si sa, il passo è breve; così, per domenica 13 febbraio, sono stati organizzati, in varie città italiane, cortei pubblici e dibattiti, nei quali s’invitano le donne a manifestare il proprio “NO” a un sistema che le offenderebbe ormai in maniera inaccettabile.
Non nascondo di guardare, in genere, con sospetto questo tipo di iniziative, perché penso siano facilmente strumentalizzabili per fini ideologici e politici e perché, se i social network avessero la funzione “sapore”, direi che avrebbero un certo retrogusto di moralismo e anacronistico femminismo. Dall’altra parte, però, non volendo demonizzare il tutto a priori, ho pensato di “monitorare” un evento, dal titolo «Donne dicono NO! In questa settimana su Facebook “IO SONO”», nel quale s’invitano le utenti del social network «a sostituire la propria foto del profilo con foto di donne valorose, intellettuali e combattenti che hanno lottato per i diritti delle donne in Italia».
L’evento sembrerebbe aver avuto un buon riscontro visto che, in questi giorni, sui profili di Facebook, fanno capolino foto di “Rita Levi Montalcini”, “Anna Frank”, “Oriana Fallaci”, solo per citarne alcune; tutte accompagnate da motivazioni, spesso funambolesche, come quelle che vorrebbero giustificare la scelta di “Nancy Brilly” piuttosto che di “Meryl Streep”.
A questo punto, mi chiederete: «Cos’è, dunque, che ti ha colpito di questo evento, tanto da volerne parlare?». Rispondo, sinceramente, che a colpirmi è stato solo l’interrogativo che l’evento è riuscito a suscitarmi. E cioè: «Ma la dignità di una donna e il suo sacrosanto diritto ad essere rispettata, risiede in quello che fa o piuttosto in quello che è? E cos’è questo “essere”?».
Per darmi una risposta fondata che non fosse solo una generica opinione, sono andata a rileggere quel capolavoro che è l’Enciclica Mulieris dignitatem, scritta da Giovanni Paolo II nel 1988: uno scrigno prezioso di riflessioni sulla dignità e la vocazione della donna nella vita e nel mondo. Questa Enciclica rivela che tutte le verità antropologiche fondamentali sono racchiuse, per un credente, nel respiro di questo passo: «Dio creò l’uomo a sua immagine e somiglianza. Maschio e femmina li creò».
Nel Logos di Dio, dunque, l’uomo è una persona, in egual misura l’uomo e la donna: ambedue, infatti, sono stati creati a immagine e somiglianza del Dio personale per esistere in relazione come Dio Trinità.
È su questa verità, di ragione e di fede, che radico la mia convinzione che non esistano donne di serie A e donne di serie B, semplicemente perché non esistono persone di serie A e persone di serie B. Non ho partecipato all’evento virtuale, ma se lo avessi fatto, avrei risposto così: «“IO SONO” una creatura unica e irripetibile». Questa risposta non vuole disconoscere i meriti, i talenti e le conquiste che alcune donne hanno conseguito e continuano a conseguire, ma solo riconoscere che tutte le donne meritano uguale rispetto, perché la loro dignità non è in quello che fanno ma in quello che sono, nel loro essere tutte, così come sono, immagine di Dio.
Scrive Giovanni Paolo II, a conclusione dell’enciclica Mulieris dignitatem: «La Chiesa, dunque, rende grazie per tutte le donne e per ciascuna: per le madri, le sorelle, le spose; per le donne consacrate a Dio nella verginità; per le donne dedite ai tanti e tanti esseri umani, che attendono l’amore gratuito di un’altra persona; per le donne che vegliano sull’essere umano nella famiglia, che è il fondamentale segno della comunità umana; per le donne che lavorano professionalmente, a volte gravate da una grande responsabilità sociale; per le donne “perfette” e per le donne “deboli”, per tutte: così come sono uscite dal cuore di Dio in tutta la bellezza e ricchezza della loro femminilità; così come sono state abbracciate dal suo eterno amore; così come, insieme con l’uomo, sono pellegrine su questa terra, che è, nel tempo, la “patria” degli uomini e si trasforma talvolta in una “valle di pianto”; così come assumono, insieme con l’uomo, una comune responsabilità per le sorti dell’umanità, secondo le quotidiane necessità e secondo quei destini definitivi che l’umana famiglia ha in Dio stesso, nel seno dell’ineffabile Trinità».
L’articolo è davvero interessante e fà riflettere sinceramente sulla “Dignità della donna”, ma cosa siamo-chi siamo in senso etico-antropologico? come noi donne, ci possiamo riconoscere e che ruolo possiamo avere in quasta società cristiana-democratica e della globalizzazione tramite le tesi di (H.Kùng)?
Perchè deve accadere tutto ciò… Sono stanca come Persona-donna-Essere, in quanto tale a (livello ontologico di Levinas ed altri filosofi..) di tutto quello che si sente con “nausea”(in senso di Sartre) e dello scempio che vi è su tutto e anche dell’Indifferenza di Tante crude realtà che noi non conosciamo, ma che esistono e che purtroppo non Importa niente-nulla a nessuno, perchè cè altro a cui pensare, non vi pare..? qundi, la donna in Verità ha il diritto sacrosanto di “Difendersi”, però non deve assolutamente “Vendere il proprio corpo… perchè il corpo in sè per sè è fatto di anima-spirito, ma ha certamente la possibilità di Amare con dei
principi etico-religiosi-spirituali da rispettare… e allo stesso modo la Donna che sà amare-donarsi all’altro, deve essere Rispettata!” Rossana Marchi
Ho avuto anch’io la fortuna di studiare con il Prof. F. P. Ciglia, grande studioso di filosofia ebraica. Una filosofia che si rivela oltremodo attuale, a differenza dei grandi sistemi ontologici del ‘900, dal momento che, a mio umilissimo avviso, ha saputo scorgere con grandissimo spirito di profezia il vero problema della nostra contemporaneità: il problema etico. Un problema che la globalizzazione sta rendendo ancora più drammatico, e penso nello specifico alle grandi ondate di immigrati che si stanno riversando in questi giorni a Lampedusa. Sono volti che ci interpellano, direbbe Lévinas, che ci costringono, nel bene e nel male, ad uscire dal nostro solipsismo egocentrico (Il caso Ruby, infatti, è proprio il caso di una minorenne immigrata che ha scosso, nel bene e nel male, la coscienza pubblica). Per questo concordo pienamente con lei sul richiamo alla Responsabilità anche qualora essa si rivelasse asimettrica. È un richiamo necessario, poichè lo stesso Lévinas ebbe a riconoscere un punto debole nella sua etica, rappresentato dal richiamo della terza persona nel rapporto intersoggettivo: donarsi totalmente all’Altro è relativamente “semplice” quando l’Altro è un singolo che ho davanti, ma quando gli Altri che mi interpellano sono tanti? Non rischio di essere ingiusto nella distribuzione del mio amore e delle mie attenzioni? La Responsabilità è proprio la soluzione, la vera panacea morale, perchè segna il passaggio da un amore immaturo a un amore maturo o, come direbbe sempre il Nostro, da una filosofia come amore della sapienza a una filosofia come sapienza dell’amore.
Ringrazio.
Ringrazio per i Vostri commenti che alimentano il circolo virtuoso del dialogo, nel quale credo fortemente. Ho apprezzato, soprattutto, come tutti i commenti abbiano saputo superare la non-logica della diversità o lotta di genere, per farsi riflessione sulla persona e su ciò che sia veramente qualificante per decretarla tale.
Ringrazio, poi, per il richiamo ad uno dei miei Autori di riferimento, essendomi formata con il Prof. F. P. Ciglia, autorevole studioso di Lévinas.
Secondo Lévinas, se si guarda alla soggettività dalla prospettiva dell’Alterità, non si può non approdare alla Responsabilità. Se scopro che le persone sono Altro da me, sono altro dall’essere mia proprietà o terreno da “colonizzare” con la mia soggettività, imparerò, necessariamente, anche a sentirmi responsabile dell’altro, indipendentemente dal fatto che l’altro lo sia nei miei confronti (“l’inverso è affar suo”).
La responsabilità, ai giorni nostri, è una parola quasi dimenticata, soprattutto quando si parla di diritti della persona, ai quali nessuno vuole più associare i rispettivi doveri.
Il rispetto della dignità della donna è una responsabilità di tutti e di ciascuno. La dignità di una donna non si costruisce con slogan e striscioni; si costruisce creando famiglie responsabili, agenzie educative (laiche e religiose) responsabili, persone responsabili. A partire da me, anzi, da noi.
Leggendo il suo pungente articolo, mi è tornata in mente l’intramontabile riflessione levinasiana sull’importanza radicale dell’alterità della donna che, cito quasi testualmente, non può mai essere ridotta a mera differenza specifica all’interno di un genere comune. Ogni Altro, in virtù del suo esser persona, resta sempre il luogo privilegiato dell’epifania divina, indipendentemente dal suo lavoro, dal suo conto in banca, dal suo successo. La crisi della società attuale, che riduce gli individui a meri apparati di produzione e l’Altro a concorrente da scavalcare, è attribuibile in parte anche a noi credenti, dal momento che non sempre nella vita siamo all’altezza della croce di Cristo, che ci parla non di fama, di successo e di denaro, ma di amore di sè, dono e sacrificio. Con questo non voglio fare il moralista, o il “sentimentaloide” spicciolo, ma solo riportare il discorso al vero cuore del problema: siamo noi credenti che dobbiamo cambiare il mondo con l’esempio lucido della nostra fede; siamo noi credenti che dobbiamo far vincere la bellezza dell’immagine divina nell’uomo con la forza di chi non accetta compromessi; siamo noi, in definitiva, che dobbiamo nel quotidiano essere da roveto ardente per il mondo mercificato. Concludendo, direi pertanto che all’evento virtuale avrei risposto con un lapidario “Noi siamo”, al fine di scavalcare tutte le divergenze esistenziali a motivo dell’unica fede essenziale.
Saluti.
A malincuore, per quello che passa davanti ai nostri occhi, mi ritrovo d’accordo … La società propostaci -e purtroppo impostaci, nella misura in cui sappiamo dire no!- è una società dei consumi e quindi dei prodotti: unico criterio di giudizio diventa l’efficienza (benedette parole di papa Benedetto!!!), ANCHE PER LE PERSONE!!! … peccato che l’uomo non è fatto solo di un corpo che opera; ma è corpo e anima insieme (papa Giovanni Paolo II)!!! E pertanto l’efficienza sarà sempre un parametro insufficiente per giudicare e pensare un essere, che è nato per essere qualcosa di infinitamente grande; e non qualcosa di finito e giudicabile sul mercato come un qualsiasi prodotto!!!
Davvero allora, se dobbiamo affannarci, affanniamoci per le cose che contano: le cose che ci appartengono veramente, le cose di cui siamo fatti! Buona essenza a tutti!!!
Ho letto il suo articolo e il punto su cui maggiormente mi trovo d’accordo è il considerare che oggi una persona ha valore per quello che fa, non per quello che è… E’ vero, abbiamo perso di vista che ciò che più ci qualifica, indipendentemente dal genere, è il CHI siamo. Oggi si vive nell’affanno del fare, per il desiderio di dimostrare, di portare prove tangibili per far sì che qualcuno ci riconosca, ci dia un qualche valore, qualunque esso sia! Ma solo riappropriandoci del nostro essere autentico e profondo, solo tornando a Colui che ci dice la verità su di noi, sul nostro essere persone uniche, potremmo davvero vivere nella Dignità…
Allora le nostre azioni acquisteranno un gusto nuovo, e non ci sarà più bisogno di dimostrare niente, perchè esse saranno solo la manifestazione di ciò che siamo intimamente…